“Yemen attraverso i miei occhi”: intervista con la giornalista e scrittrice Laura Silvia Battaglia

11Benvenuti nel nuovo podcast di MOAS.  

In questa edizione, approfondiremo la situazione nello Yemen, discutendo le conseguenze causate dal protrarsi del conflitto nel Paese sulla sua società e sulla sua popolazione, oltre a evidenziare le urgenti necessità umanitarie della popolazione yemenita così come gli sforzi per ricostruire il loro Paese e superare le difficoltà che le persone stanno affrontando. Per fare ciò, abbiamo intervistato Laura Silvia Battaglia al-Jalal, giornalista che vive tra Italia e Yemen. Ha lavorato nelle zone di conflitto del Medio Oriente dal 2007 e come corrispondente da contesti difficili su criminalità, questioni relative ai diritti umani, traffico di esseri umani, terrorismo e commercio di armi.  

Le abbiamo rivolto alcune domande partendo dal suo legame con lo Yemen per arrivare alle criticità e alle potenzialità del Paese. 

Ascolta il podcast qui: 

Qual è il tuo legame con lo Yemen? Da quanto tempo ti concentri su questo Paese?  

Laura Silvia Battaglia: “Il mio legame con lo Yemen è lungo nel tempo e intenso: mi sono trasferita in questo Paese nel 2012, dopo la rivoluzione del 2011 che già osservavo e studiavo come giornalista, avendo seguito sul campo tutte le altre rivoluzioni, compresa quella che poi diventò guerra in Libia, dove sono stata per due mesi. In realtà la destinazione iniziale per lo Yemen non fu di natura professionale, ma di studio: mi recai nel 2012 perché desideravo approfondire la conoscenza della lingua araba e ottenere un certificato, e Sana’a era molto nota, come anche Damasco, per essere una delle poche città al mondo dove i docenti di alcune scuole erano eccezionali ed era possibile parlare la lingua per strada ed essere compresi da chiunque. Questo è stato il primo contatto con il Paese che poi è diventato altro, perché dallo studio sono passata al lavoro e dopo alcuni anni alla famiglia che ho creato in Yemen.” 

Tu sei stata in Yemen prima e durante la guerra – Ci faresti una panoramica degli effetti del conflitto sul Paese, sui suoi servizi essenziali e sulle persone, secondo la tua esperienza? 

LSB: “Devo dire che è abbastanza difficile recarsi in Yemen durante la guerra dopo averci vissuto quando la guerra non c’era, nonostante il periodo successivo alla rivoluzione sia stato certamente il più complesso. Ciò che è possibile notare, al di là dei numeri impressionanti (una popolazione di 29 milioni di abitanti, di cui 17 milioni con difficoltà nell’accesso al cibo, 8 milioni a rischio fame, circa 26 milioni che vivono con acqua razionata e accesso alla sanità limitatissimo, per non parlare dei morti, che sono stati almeno 11.000, i feriti, e almeno 2 milioni di persone senza un riparo), è come le conseguenze del conflitto siano collegate all’elevato numero di persone che incontrano difficoltà nell’accesso ai beni essenziali. Ciò va visto in un contesto in cui il Paese presentava già enormi sacche di povertà e malnutrizione anche prima del conflitto e della rivoluzione del 2011. L’accesso all’elettricità, per esempio, è sempre stato fortemente razionato: la vita a Sana’a inizia presto, alle 5 del mattino, quando il sole sorge, ma quando il sole tramonta è raro avere l’elettricità, e questo comporta tante cose: ma anche non poter usare un frigo, ricaricare i cellulari… per questo tutto il mercato che consente di poter comprare i generatori è sempre stato particolarmente florido in Yemen. Se pensiamo al fatto che questo servizio essenziale era già difficilmente erogabile nelle grandi città, lo era certamente anche nei villaggi. Si partiva quindi da una condizione di povertà che naturalmente la guerra non ha fatto altro che peggiorare.”

Approfondiamo la combinazione di guerra e Covid-19 in un Paese come lo Yemen: ci sono state nuove sfide da affrontare per il paese e il popolo? Quali sono i potenziali sviluppi della situazione quest’anno? 

LSB:“La popolazione yemenita, come in molti Paesi poveri, è estremamente resiliente perché conduce una vita estremamente semplice. Teniamo presente che già prima nella guerra nel Paese erano presenti epidemie che sono aumentare durante il conflitto: il colera, per esempio, ha causato circa 3000 morti e 1-2 milioni di infetti, o la difterite e molte altre patologie, come la malaria, sono diffuse nel Paese. L’arrivo del Covid-19 è stato, di fatto, la ciliegina sulla torta: con la diffusione del virus c’è stata un’iniziale sottovalutazione della malattia; tra l’altro, inizialmente la popolazione seguiva predicatori che dicevano che era una malattia occidentale che mostrava le falle dei sistemi sanitari in Paesi come la Cina o nei Paesi capitalisti. Quando è comparso il Covid-19 a Aden e Sana’a, in principio non era distinguibile da altre malattie. Quando però ci si è resi conto che chi stava a contatto con persone infette moriva a grande velocità, soprattutto uomini intorno ai 40 anni o più giovani, questo ha allarmato una parte della popolazione, nonostante non siano state diffuse notizie trasparenti sul numero di morti: si disse che il primo morto era un somalo, come a dire che la malattia venisse dall’esterno. Tutto ciò è stato molto grave perché l’epidemia si è molto diffusa. Quello che è successo ha causato un aggravamento della situazione negli ospedali con gli stessi medici che fuggivano dai malati perché non avevano alcuna possibilità di contrastare il Covid-19, a causa della carenza di guanti e mascherine. Nella fase successiva, dopo 2-3 mesi in cui è stato possibile riorganizzarsi e aprire fabbriche di mascherine etc. si è deciso di contrastare il Covid-19 e informare la popolazione che si stava facendo il possibile. Tuttaviain Yemen si muore per molte altre cose e si muore anche di Covid-19, spesso senza riuscire nemmeno a distinguerlo.”

Come sappiamo, la malnutrizione è una delle peggiori conseguenze della guerra e una situazione critica per lo Yemen: puoi dirci di più su questo drammatico problema che colpisce gran parte della popolazione yemenita e in quali modi, chi è maggiormente colpito? 

LSB:“La malnutrizione è sicuramente una delle piaghe più grandi di questa crisi umanitaria in Yemen, per la quantità e per le caratteristiche stesse della malnutrizione: colpisce bambini che vivono non soltanto nei villaggi ma anche nelle città ed è determinata da tutta una serie di fattori. È importante dire però che è soprattutto diffusa in alcune aree del Paese che sono già depresse da tanti anni, in particolar modo il governatorato di Hajjah, tra Sana’a e Saada, una zona rurale montagnosa, dove ci sono villaggi sparsi e molto lontani l’uno dall’altro. Visto che durante la guerra una delle problematiche principali è la mancanza di gasolio per potersi rifornire, molte donne sono rimaste totalmente isolate durante la loro gravidanza, in estrema difficoltà anche nel caso di parti complicati: infatti non potevano cercare un posto dove partorire in sicurezza, perché non si avevano i soldi per comprare gasolio e prendere l’auto per spostarsi. Questo discorso riguarda anche casi in cui i bambini nati sono cresciuti particolarmente sottopeso e si giungeva molto tardi negli ospedali che fornivano determinati servizi e quando si arrivava si moriva. Io stessa sono stata testimone di un episodio del genere all’inizio del 2016, quando un bambino è morto davanti ai miei occhi nel reparto di malnutrizione dell’ospedale di Hodeidah, dove arrivavano moltissime persone dalla provincia rurale più profonda di Hajjah. Non bisogna poi dimenticare che ci sono anche ragioni culturali che non vengono mai citate, come per esempio il fatto che nelle famiglie di Hajjah le donne, anche durante la gravidanza, si privano del cibo (e questo accadeva anche ai tempi precedenti alla guerra), danno prima da mangiare agli uomini adulti e agli anziani in forze per una questione di rispetto e di genere, anche perché l’uomo in teoria provvede alla famiglia e restano per ultime perché poi danno da mangiare anche ai bambini. Se sommiamo questi aspetti culturali ad altri – la crisi economica portata dalla guerra che limita ulteriormente l’accesso al cibo – ci rendiamo conto del perché questo problema sia diventato un dramma.”

Per affrontare ora un tema più promettente: che dire della popolazione yemenita locale? Qual è il loro potenziale e cosa stanno facendo in particolare per affrontare la loro drammatica situazione? 

LSB:“La popolazione yemenita mantiene, come dicevo, una grande capacità di resistenza e cerca di reagire come possibile. La maggior parte delle storie raccontate durante il conflitto riguarda la malnutrizione, gli ospedali, le bombe etc. È molto più difficile, invece, riuscire a raccontare la storia di civili che resistono. Ci sono tante persone che, nonostante la guerra, si danno da fare per sopperire alle mancanze dei governi e alle difficoltà, e lo fanno senza alcun aiuto internazionale o di ONG. Si tratta di individui che lavorano nel mondo della società civile, educatori, insegnanti, giornalisti, artisti: per cui, nonostante tutto, potremmo riuscire a incontrare, per esempio, musicisti che suonavano nell’orchestra yemenita degli anni ‘70 che quasi segretamente aprono classi di violino o di musica per continuare a trasferire questa arte ai giovani. Troviamo insegnanti nella città di Taez che aprono una scuola per fare in modo che i bambini possano andare a scuola e non debbano attraversare la front line dove operano i cecchini. Ci sono persone che si sostituiscono, come accade a Aden, alle autorità delle stazioni di polizia per raccogliere le denunce di civili circa l’esistenza di squadroni che nella notte rapiscono le persone e taglieggiano le famiglie chiedendo riscatti, una situazione molto simile a quella di Baghdad nel 2006. Ci sono donne che si sono rimboccate le maniche perché i loro uomini sono al fronte, che hanno iniziato a svolgere molti lavori: elettriciste, idrauliche, meccaniche, e spesso queste storie non vengono raccontate. È anche un segno (come accaduto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale) che le guerre possono anche essere un buon viatico per il women empowerment nello stesso tempo in cui comunque in molte situazioni esse vengono messe in grande difficoltà.”

Per concludere, parliamo ora di un tema particolare: il territorio yemenita è caratterizzato da un grande patrimonio artistico e culturale: quali sono le sue particolarità e quali le sfide per la sua preservazione?  

LSB: “Il territorio yemenita ha una caratteristica, tra l’altro segnalata negli anni ‘70 anche da Pier Paolo Pasolini: natura e paesaggio architettonico in Yemen sono perfettamente integrati. La totale armonia tra questi due elementi lo rende un Paese ricco di fascino e non paragonabile, in quanto a bellezza, agli altri luoghi del Medio Oriente. È un incrocio interessantissimo tra culture del Corno d’Africa, dell’India, dell’Area Indoiranica, ma anche il cuore dell’”arabità” nella sua forma più pura. La bellezza del paesaggio e la capacità degli uomini di costruire architetture speciali e già estremamente sofisticate diversi millenni fa, lo rende un luogo da osservare, da salvare e di cui avere cura. L’Unesco già negli anni ‘80 stabilì che diverse località dello Yemen diventassero patrimonio, tra cui la capitale Sana’a ma anche molti altri. A causa della guerra molte di queste architetture sono state oggetto di bombardamenti, in particolare al nord nella città di Saada, tradizionalmente la roccaforte degli Houthi del nord, bombardati più volte dai Sauditi. Stessa cosa a Sana’a, dove anche nella città vecchia sono crollati due palazzi, con diversi feriti, a causa di due bombe rimaste inesplose ma comunque cadute sulla città. Stessa cosa possiamo dire di musei e ponti antichissimi e altre strutture del genere. A ciò si aggiunge l’incuria, dovuta in parte alla mancanza di fondi, in parte a un’attitudine culturale: laddove le milizie dominano, a Sana’a o altre zone del Paese, preferiscono non occuparsi di tutto questo, anche per dimostrare che è la guerra la causa di questo. Purtroppo, in realtà pesa anche l’incuria dei governanti, per cui il rischio è che palazzi di grande pregio si sgretolino, non ultimo anche a causa del cambiamento climatico che ha portato nel Paese alluvioni molto consistenti nei mesi di agosto e settembre. Lì dove possibile, qualcosa si sta facendo: l’UNESCO sta mettendo a punto meccanismi di sostegno, per esempio nella città vecchia di Sana’a colpita dalle alluvioni, ma non è riuscita a farlo in altri luoghi dello Yemen. È davvero importante che i beni architettonici dello Yemen vengano protetti, così come va protetta per prima la sua splendida popolazione.”

 

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Considerazioni finali 

Ringraziamo molto Laura Silvia Battaglia per i suoi interessanti spunti sulla difficile situazione in Yemen e sulle prospettive della popolazione yemenita, e per averci fornito una visione alternativa rispetto a ciò che vediamo nei media. La situazione umanitaria nello Yemen continua a essere una delle principali priorità delle operazioni di MOAS. Attraverso la collaborazione con i nostri partner, MOAS lavora duramente per alleviare le sofferenze della popolazione, attraverso le nostre spedizioni di aiuti nutrizionali e forniture mediche nel Paese. 

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