Stagione 3 Podcast 1: Riduzione del rischio da disastri

Buongiorno e benvenuti nel podcast di MOAS.  

In questa edizione approfondiremo il tema della riduzione del rischio da disastri (Disaster Risk Reduction), cercando di comprenderne il significato ed esplorando alcune applicazioni pratiche.

Ascolta il nostro podcast qui:

I disastri si verificano spesso in seguito a fenomeni naturali quali terremoti, uragani, alluvioni e attività vulcaniche, e la loro gravità dipende principalmente dall’impatto che tali fenomeni hanno sugli insediamenti umani e sull’ambiente. Tradizionalmente, la gestione dei disastri è incentrata su interventi di emergenza, ma tra la fine del 20º secolo e l’inizio del 21º si è cominciato a riconoscere il fatto che i disastri non esistono in natura, ma sono associati alla presenza dell’uomo. Tuttavia, dal momento che non è possibile ridurre la gravità dei fenomeni naturali, la principale opportunità sta nel ridurre la vulnerabilità e l’esposizione ad essi. Ed è proprio da questa idea che nasce il concetto di Riduzione del Rischio da Disastri.

Abbiamo scelto di affrontare questo tema perché il 13 ottobre ricorre la Giornata Internazionale per la Riduzione dei Disastri Naturali, istituita nel 1989 per diffondere una maggiore consapevolezza nei confronti di questo tema.

Per questa occasione, abbiamo rivolto alcune domande al nostro collega Paul Chamberlain, coordinatore della logistica e delle operazioni, che lavora attualmente in Bangladesh nella gestione di tutti i progetti MOAS, la maggior parte dei quali riguarda proprio la riduzione dei rischi da disastri naturali.

Paul cosa si intende per “Riduzione del Rischio da Disastri”, come funziona e perché è importante?

La riduzione del rischio da disastri è un concetto piu’ ampio rispetto alla gestione tradizionale delle emergenze. Sostanzialmente è un approccio sistematico volto a identificare, valutare e ridurre i rischi di un disastro, naturale o causato dall’uomo. Si cerca di ridurre le vulnerabilità delle comunità ai disastri, sia di carattere socio-economico che fisiche. Per esempio in Bangladesh, uno dei Paesi al mondo più soggetti a disastri, cose semplici come assicurarsi che ci siano abbastanza rifugi anticiclone per la popolazione è un elemento chiave dei programmi DRR.

Quali sono le minacce di disastri e fattori di rischio che rendono il DRR così importante in Bangladesh?

Come ho già accennato, il Bangladesh è uno dei Paesi al mondo più esposti a disastri. È soggetto a terremoti, cicloni, tempeste tropicali e forti alluvioni monsoniche, che causano frane e inondazioni. Per questo, la DRR qui è essenziale: senza di essa la popolazione diventerebbe estremamente vulnerabile. Come già menzionato, i rifugi anticiclone rappresentano un elemento chiave della strategia di riduzione del rischio da disastri in Bangladesh.

Oltre ai rifugi anticiclone, un grande lavoro è stato fatto nei campi rifugiati e nel distretto di Cox’s Bazar. Sono state realizzate infrastrutture per permettere un accesso più rapido ai soccorsi in caso di disastri, sono stati migliorati i canali di drenaggio, per fare in modo che le acque alluvionali possano defluire più velocemente. Sulle coste, è stata messa in atto l’attività di protezione marittima, con grandi sacchi di sabbia e strutture di cemento per ridurre l’impatto delle onde e dei cicloni. Riveste un ruolo importante anche la piantumatura con alberi delle zone costiere, con l’obiettivo di rallentare la forza del vento e l’erosione delle spiagge.

Ci sono aree o comunità che sono maggiormente esposte a questi rischi in Bangladesh?

Non credo che i rischi siano limitati alla comunità di rifugiati o ai più poveri, penso che chiunque possa venire colpito dai disastri qui in Bangladesh, perché è un problema insito nella struttura del Paese. Per fare un esempio, il Bangladesh ha il cosiddetto Cyclone Preparedness Programme costituito da una rete di 55.000 volontari: credo che sia il più grande programma di preparazione alle emergenze su base volontaria del mondo. Il ruolo di questi volontari è di allertare la comunità sull’arrivo dei cicloni ed invitarli ad allontanarsi dalle zone a rischio. Ovviamente, le persone che vivono più vicine alla costa sono maggiormente esposte ai cicloni, mentre coloro che vivono ai margini dei fiumi sono a maggior rischio di subire alluvioni.

All’inizio di quest’anno, il 66% del Paese era sommerso dalle acque e ciò ha causato oltre 250 vittime. Questo accade ogni anno, in quanto il Bangladesh sorge su una rete di delta di fiumi ed e’ soggetto a forti alluvioni. A livello economico questi fenomeni si ripercuotono sugli agricoltori, causando gravi danni alle coltivazioni e conseguente perdita di entrate. Per questo, la capacità del Paese di produrre cibo a sufficienza è spesso compromessa ed è necessario il sostegno delle ONG e delle agenzie dell’ONU.

Quali sono le misure attuate per la Riduzione dei Rischi da disastri in Bangladesh e da chi sono gestite?

Come ho già detto prima, si realizza la costruzione di canali fluviali e di drenaggio, tutti grandi progetti di infrastrutture portati avanti principalmente dalle agenzie Onu o dal governo. Nei campi per i rifugiati si attuano progetti simili per gestire gli effetti delle frane, come per esempio lavori di stabilizzazione dei pendii, la piantumatura di siepi e alberi, o lavori per gestire il flusso di acque e ridurre l’impatto delle alluvioni. Ciò che ancora manca sono dei progetti per gestire le conseguenze del disastro e la resilienza delle comunità. Quindi si fanno molti tentativi di ridurre i rischi ma, alla fine, non necessariamente vengono eliminati completamente i danni postumi di un disastro.

Qual è il ruolo di MOAS nella Riduzione del Rischio da disastri in Bangladesh e quali progetti stiamo realizzando?

L’approccio di MOAS al DRR cerca di gestire i rischi residui – una volta che sono stati ridotti – e di implementare la resilienza della comunità. Sappiamo che in seguito a un disastro trascorrerà un certo periodo di tempo prima dell’arrivo dei soccorsi. C’è sempre un intervallo temporale tra l’impatto dell’evento e l’arrivo dei soccorritori e in quel frangente gli unici in grado di intervenire sono i membri della comunità. Ciò che abbiamo fatto quindi è stato collaborare con le agenzie Onu e i volontari CPP sul campo e quelli della comunità ospitante per provare a migliorare le loro competenze in modo che siano meglio preparati a gestire gli effetti di un disastro e a ridurre il cosiddetto disaster gap, ovvero il lasso di tempo tra il verificarsi dell’evento e l’arrivo di aiuti organizzati.

Abbiamo capito fin da subito che fornire semplicemente l’attrezzatura alle persone non rappresentava necessariamente la soluzione. Il primo problema era che le attrezzature di cui avevamo bisogno, ovvero throwbags e salvagenti, non erano disponibili in Bangladesh. Una throwbag è una semplice borsa dotata di una corda galleggiante che, se qualcuno si trova in difficoltà in acqua, puo’ essere lanciata dalla terraferma e serve a tirarla fuori, salvandola. Semplici strumenti come questi non erano disponibili in Bangladesh, per questo abbiamo avviato una piccola struttura di produzione, abbiamo creato il nostro design e ora produciamo la nostra attrezzatura di salvataggio che viene distribuita alle comunità con cui lavoriamo. Inoltre, la produzione di questo materiale rappresenta una fonte di guadagno per i sarti locali che realizzano queste attrezzature per noi, migliorando le loro condizioni di vita. Grazie ai corsi di Flood&Water Safety training, poi, insegniamo alle persone come effettuare il salvataggio nella pratica.

Quest’anno è stato particolarmente difficile per noi a causa della pandemia di COVID-19. Il Paese ha cominciato il lockdown ad inizio aprile, costringendoci a sospendere il nostro programma di training per almeno 4 mesi. A settembre abbiamo potuto riprendere, anche se siamo stati costretti a ridurre il gruppo di persone con cui lavoriamo. Ci assicuriamo che tutti indossino le mascherine e il gel per le mani sia sempre a disposizione. Facciamo tutto il possibile per rendere il training sicuro, e siamo fortunati per aver potuto seguire alcune linee guida del WHO, che ci ha offerto sostegno e consiglio per assicurarci di portare avanti il corso in maniera sicura. Lavoriamo a fianco di BDRCS, la Bangladesh Red Crescent Society, anche loro davvero di grande sostegno per ricominciare il training e far sì che siamo protetti dal COVID durante il corso. Il periodo chiave per noi, quello purtroppo in cui il COVID ha colpito il Paese, è stata anche la stagione più critica dei monsoni. Per fortuna, quest’anno il numero di incidenti e vittime è stato contenuto. Tuttavia, in ottobre, novembre, dicembre, ci avviciniamo a un’altra stagione difficile e vogliamo completare il ciclo di training in tempo. In totale avremo formato circa 3.000 persone per l’acquisizione di competenze di base per il soccorso in acqua.

Pensi che questo progetto di Flood and Water Safety Training possa espandersi in futuro?

Nel 2021 vorremmo estendere il nostro lavoro nella comunità locale e formare un numero maggiore di volontari nel distretto di Cox’s Bazar: in questo, siamo fortunati a godere del sostegno del CPP.

Vorremo incrementare il corso anche nei campi per i rifugiati, dove l’annegamento è stato identificato come la quarta causa di morte, subito dopo l’omicidio e gli incidenti stradali (e credo il COVID, quest’anno).

Puntiamo ad aumentare il network di soccorritori e fornire loro le conoscenze e le attrezzature adatte per gestire i soccorsi in maniera sicura. Se avremo abbastanza persone, allora ci sarà sempre qualcuno nei paraggi pronto a intervenire rapidamente quando e’ necessario. Il Bangladesh è un Paese molto popoloso, quindi c’è già una grande capacità, ciò che manca loro sono le competenze: noi di MOAS cerchiamo di colmare questo gap, per salvare quante più vite possibile.

 

Grazie a Paul per questa dettagliata panoramica sulla riduzione dei rischi da disastri e sugli sforzi compiuti da MOAS e dalle comunità in Bangladesh per aiutare le persone in difficoltà.

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