Nel quarto anniversario della sua fondazione, MOAS continua ad essere un faro di speranza e a dar voce a chi voce non ha

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Quattro anni di missioni umanitarie: riflessione di Regina Catrambone, Direttrice e Co-Fondatrice di MOAS.

Nel quarto anniversario della creazione di MOAS, è arrivato il momento di tirare le somme per ricordare sfide e traguardi di uno degli anni più intensi nella storia dell’organizzazione.

Un anno fa avevamo appena ribadito il nostro impegno a salvare le imbarcazioni in pericolo lungo la rotta migratoria più letale al mondo e firmato il Codice di Condotta proposto dal governo italiano per riaffermare il nostro spirito di collaborazione con le autorità in mare e sulla terra e con le altre organizzazioni SAR.

Subito dopo, la Libia ha dichiarato unilateralmente la propria zona SAR, rafforzando così il ruolo dei libici nelle operazioni di salvataggio. Tutto ciò ha provocato un notevole cambiamento dello scenario operativo in mare per chi assiste imbarcazioni precarie e gommoni instabili. Allo stesso tempo, l’ultima escalation di violenze contro la minoranza Rohingya in Myanmar, in particolare nel Rakhine settentrionale, ha scatenato un esodo senza precedenti. In un paio di mesi, oltre 650.000 persone vulnerabili hanno cercato protezione in Bangladesh dopo essere sopravvissute a violenze fratricide, viaggi disperati, tratta di esseri umani e abusi inenarrabili.

Il cambiamento nel Mar Mediterraneo – insieme all’appello di Papa Francesco, che il 27 agosto ha chiesto alla comunità internazionale di non dimenticare i nostri fratelli e sorelle Rohingya – ha spinto MOAS ad agire. Intenzionati a continuare la nostra missione per salvare vite, abbiamo sospeso le operazioni SAR lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, dal momento che non volevamo diventare parte di un meccanismo che mira solo a evitare che le persone arrivino sulle coste europee, senza preoccuparsi dei loro diritti e della loro dignità.

Nel rispetto del nostro principio guida di mitigare la sofferenza delle comunità migranti e rifugiate più vulnerabili al mondo, abbiamo spostato le operazioni in Sud-Est Asiatico. Dopo l’arrivo nel mese di settembre, abbiamo distribuito 40 tonnellate di aiuti umanitari e aperto due centri per l’assistenza medica primaria, detti Aid Station, in cui rifugiati Rohingya e comunità locali ricevono assistenza sanitaria gratuita e di elevata qualità. Dopo alcune valutazioni iniziali, abbiamo ritenuto prioritaria la fornitura di cure mediche essenziali: per questo abbiamo aperto i due centri medici, uno nel villaggio di pescatori di Shamlapur e l’altro vicino al campo profughi di Unchiprang, in un’area remota e poco servita. Fra ottobre 2017 e giugno 2018, MOAS ha curato quasi 69.000 bambini, donne e uomini che necessitavano attenzioni urgenti. La media mensile di pazienti curati a Shamlapur è quasi 4.500, mentre a Unchiprang è circa 4.000.

Dei nostri pazienti, il 44% è costituito da bambini e il 41% da donne e ragazze che sono spesso sopravvissute a stupri o violenze sessuali. Inoltre, il 54% dei bambini hanno fra i 2 e 12 anni, mentre il secondo gruppo più numeroso è formato da bambini di età compresa fra 7 settimane e 2 anni. Una delle malattie più comuni fra i pazienti delle nostre Aid Station è l’ulcera peptica, seguita da disturbi respiratori e gravidanze. Moltissimi pazienti MOAS non sono mai stati visitati da un dottore in vita loro. Nelle nostre strutture, le donne in gravidanza ricevono le migliori cure materne e assistenza pre/post-parto per i figli neonati. Inoltre, MOAS ha partecipato alle campagne di vaccinazione sotto la guida dell’OMS e del governo bengalese per prevenire il diffondersi di malattie trasmissibili.

La missione di MOAS non è stata circoscritta ad attività di soccorso sul campo, ma ha riguardato anche un’evacuazione aerea insieme all’UNHCR e una missione d’osservazione di un mese lungo la rotta delle Andamane. Nel dicembre 2017, abbiamo supportato l’UNHCR durante l’evacuazione di 74 rifugiati vulnerabili bloccati in Libia: 51 bambini, 22 donne e un uomo sono stati poi trasferiti presso una struttura sicura in Niger nella speranza di essere ulteriormente ricollocati. Fra aprile e maggio 2018, la nave Phoenix è stata riposizionata per una missione d’osservazione mirata a documentare gli attraversamenti di migranti e rifugiati nel Mare delle Andamane, dove nel 2015 migliaia di disperati sono morti in mano a trafficanti senza scrupoli a bordo delle cosiddette “navi fantasma”. Benché il tasso ufficiale di mortalità secondo l’OIM sia dell’1,2%, la realtà potrebbe essere molto peggiore a causa degli attraversamenti e conseguenti naufragi di cui non si sa nulla.

Nel 2014, MOAS ha completato con successo la prima operazione di soccorso ed è diventata una solida organizzazione internazionale negli anni successivi. Nel 2017, MOAS ha ulteriormente allargato la portata della sua missione per mantenere viva la speranza fra i Rohingya e si è adattata ad un nuovo scenario operativo sulla terraferma. Se il 2014 è stato il nostro inizio, il 2017 ha segnato un punto di svolta e il 2018 sta dimostrando la nostra capacità di operare in contesti diversi e sempre più complicati.

Nonostante i diversi contesti e aree geografiche, una cosa non cambia: il nostro impegno a rendere questo mondo un luogo accogliente e giusto. Il sorriso di una madre i cui figli sono finalmente al sicuro è lo stesso ovunque, la gioia di un padre la cui famiglia riceve adeguata assistenza medica e cibo è identica in ogni luogo della terra.

Nonostante la crescente indifferenza del mondo di fronte alla sofferenza umana e alle catastrofi umanitarie, MOAS continua a essere un faro di speranza e a dar voce a chi voce non ha. MOAS testimonia la forza, il coraggio e la resilienza delle odierne vittime di violenza e persecuzione.

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