MOAS – #SavedAtSea

Zahra, Bakary, Juliette e Anyasodar sono solo alcuni degli oltre 33 mila volti di uomini, donne e bambini che abbiamo visto passare sulle nostre navi negli ultimi due anni e mezzo. Esseri umani come noi, ciascuno di loro con la propria storia di sopravvivenza, aspirazioni, sogni, disperazione, avventure e disavventure.
Storie di persone che hanno visto la loro vita minacciata da guerre, terrorismo, povertà, fame o disastri ambientali, e hanno deciso di non arrendersi. Hanno deciso di rischiare tutto attraversando il mare in condizioni disperate, e lottare per una vita migliore.

Migliaia di queste storie rimarranno per sempre sconosciute in fondo al mare, insieme ai corpi di chi non ce l’ha fatta. È anche in loro onore che parlano le voci di #SavedAtSea: una serie di brevi ritratti raccontati in prima persona da chi invece da quello stesso mare siamo riusciti a trarre in salvo.

Zahra, Chad, #SavedAtSea

“Sono nata in Chad, ma ho vissuto in Libia da quando avevo 6 anni. Mio padre si era trasferito in Libia per lavorare come agente di sicurezza per il governo e tutta la famiglia lo ha seguito. La Libia era un paese ricco, la situazione stabile e mio padre aveva un buon lavoro: mi piaceva vivere lì. Poi le cose sono cambiate d’improvviso: è scoppiata la guerra e sono iniziate le proteste contro Gheddafi. Con la mia famiglia eravamo costantemente minacciati dagli oppositori al regime perché mio padre era rimasto fedele a Gheddafi. Per questo motivo è stato ucciso da alcuni oppositori che gli hanno sparato. Poi hanno cominciato a minacciarci sparando sulla nostra casa, ed è stato in quel momento che ho deciso che dovevo andarmene. Non c’era modo di tornare in Chad dalla Libia perché nel paese regnava il caos e restare lì era fuori discussione. La traversata in mare era l’unico modo per mettermi in salvo. Ho messo a repentaglio la mia vita per dare a mio figlio un futuro migliore.”

Bakary, Gambia, #SavedAtSea 

“Mi chiamo Bakary, ho 30 anni e vengo dal Gambia. Prima di lasciare il mio paese facevo l’autista per un funzionario dell’Agenzia di Intelligence Nazionale (NIA). Nel 2014, in Gambia c’è stato un tentativo di colpo di stato da parte di un ex generale dell’esercito. Volevano rovesciare il governo dittatoriale di Jammeh, ma non ci sono riusciti. Non c’è voluto molto prima che il governo cominciasse a cercare le altre persone coinvolte nel colpo di stato, tra cui il funzionario per cui lavoravo, che è stato arrestato e messo in prigione. Prima che lo prendessero, mi ha detto di lasciare il paese e scappare, perché sarebbero venuti a cercare anche me. Sono partito appena in tempo, portando mia moglie e la mia famiglia in Senegal. È stata dura decidere di lasciarli lì, ma ho bisogno di sostenerli economicamente e per questo motivo ho scelto di provare a venire in Europa”.

africa

 

Juliette, Benin, #SavedAtSea

“Quando sono salita su questa nave ero sopraffatta. Sono scappata dalla Libia su un gommone, credendo che ci avremmo messo solo qualche ora a toccare terra di nuovo. Non so dire quanto tempo sia passato, ma dopo la seconda notte in mare stavo cominciando ad accettare l’idea di dover morire assieme a tutti i miei compagni sul gommone. Non immaginavo di potercela fare. Quando mi hanno soccorsa ero in lacrime, tutti cercavano di confortarmi dicendo che non avevo motivo di piangere perché ero finalmente salva. Ma le mie erano lacrime di gioia! Sono stata in Libia per 5 mesi, mi hanno rapita e non riesco a raccontare cosa ho vissuto mentre ero lì. Appena tocchiamo terra, voglio chiamare e sentire le mie due bambine. Non parlo con loro da quando mi hanno rapita. Voglio sentire la loro voce e spero che un giorno mi possano raggiungere in Europa.”

Anyasodar, Nigeria, #SavedAtSea

“Mi chiamo Anyasodar, ho 42 anni e 6 bambini. In Nigeria, lavoravo nel settore minerario, poi sono arrivati quelli di Boko Haram, e hanno distrutto tutto. Ho perso il mio lavoro, ho perso tutto. Due dei miei figli sono morti in uno dei loro attacchi terroristici. Non avendo un lavoro, non potevo garantire un’istruzione ai miei figli, o medicine, o a volte anche solo del cibo. Partire era l’ultima, disperata, possibilità che mi restava. Ho attraversato il deserto con un mio amico e molti altri. Alcuni di loro sono morti per disidratazione, perché i trafficanti non ci davano nemmeno l’acqua. Ho visto troppa morte, e non riesco a sopportarne altra. Quando è troppo è troppo. Io voglio solo riuscire a dare ai miei figli un futuro, a dargli una vita migliore della mia: se la meritano. Lavorerò duro per inviargli i soldi che guadagnerò. Voglio andare in Germania, Dio mi sta guidando lì.”

 

Middle East

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