L’impatto della stagione dei monsoni sui campi profughi Rohingya e il lavoro di MOAS in Bangladesh

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MOAS: Benvenuti nel nuovo podcast di MOAS! Oggi parliamo con Dan Graham dell’impatto della stagione dei monsoni sui campi profughi Rohingya a Cox’s Bazar.
Dan è coordinatore del programma e consulente tecnico di MOAS in Bangladesh, ed è responsabile dell’implementazione del #WaterAndFloodSafetyTraining nel distretto di Cox’s Bazar, il più grande insediamento di rifugiati del mondo che ospita più di 800.000 rifugiati Rohingya.
Questa zona del Bangladesh è particolarmente colpita da inondazioni improvvise e dopo le devastazioni che abbiamo visto nelle ultime settimane a causa di piogge monsoniche, allagamenti e frane, e’ importante sottolineare l’importanza del Flood and Water Safety Training per le emergenze legate all’acqua.
Dal 2019 MOAS fornisce consulenza tecnica, formazione e attrezzature salvavita ai rifugiati Rohingya e alla comunità ospitante di Cox’s Bazar, così che possano agire come primi soccorritori in caso di disastri naturali legati all’acqua.
Innanzitutto, grazie Dan per essere con noi oggi. Innanzitutto, vorrei affrontare il tema degli effetti della stagione dei monsoni nei campi profughi: qual è l’impatto del monsone e quali sono i fattori critici che rendono la situazione un’emergenza?

Dan Graham: La stagione dei monsoni in Bangladesh dura da giugno a ottobre. In media la quantità di pioggia in Bangladesh è di circa due metri all’anno. Anche nelle zone più aride si arriva a circa 1,6 metri di pioggia annualmente. E circa l’80% di quest’acqua cade nel periodo dei monsoni. Quindi, puoi immaginare come in un Paese che è essenzialmente un fiume delta dell’Himalaya fatto di limo, fango e argilla che scende dalle montagne, non c’è praticamente roccia da nessuna parte. La stagione dei monsoni rappresenta una grande difficoltà per tutti in Bangladesh, non solo per i rifugiati. La vita diventa molto fangosa, tutto piuttosto inquinato. Trascorro molto del mio tempo con gli stivali Wellington mentre mi muovo, non solo per lavoro, ma per uscire la sera. Nei campi profughi fino a quattro anni fa tutto era essenzialmente giungla e risaie incolte, poi sono arrivate metti 800.000 persone in quell’ambiente, che hanno eretto ripari fatti con un telone di plastica e bambù. L’impatto meteorologico che il monsone ha su questa popolazione è piuttosto drastico. È un periodo dell’anno in cui praticamente nulla si asciuga, l’aria è molto, molto umida, può arrivare fino all’85%-90% di umidità, e poi ci sono piogge costanti, non sempre abbondanti, ma è insolito che un giorno passi senza che cada un po’ di pioggia.
E così nei campi dove ci sono pochissime strade in muratura, ma solo sentieri di fango, la vita diventa molto, molto fangosa e molto, molto bagnata. Alcuni dei campi sono piuttosto ripidi, ci sono colline in pendenza, e quindi le persone in fondo a quelle colline sono a rischio di inondazioni e impatto da frana, mentre le persone in cima sono certamente a rischio di una frana; e sfortunatamente quest’anno si sono verificati entrambi. Il 27-28 luglio abbiamo avuto un periodo di pioggia particolarmente intensa che ha portato a inondazioni su vasta scala che hanno avuto un impatto su molti accessi ai campi, strade di ingresso e molte infrastrutture del campo, inclusi blocchi sanitari, centri per il trattamento delle acque, punti vendita di cibo, distribuzione di GPL. La maggior parte delle infrastrutture sono state colpite in misura maggiore o minore.

MOAS: Ti ringrazio per la risposta. Per capire meglio cosa sta facendo MOAS in Bangladesh e per capire il nostro ruolo nell’area, puoi spiegare in dettaglio qual è il protocollo di risposta alle emergenze che forniamo in Bangladesh attraverso la nostra esperienza tecnica? Come funziona in pratica?

Dan Graham: Ogni alluvione, qui a Cox’s Bazar o altrove, consiste di quattro fasi. La prima fase è detta pre-alluvione: sappiamo ci sarà un’inondazione, potremmo non sapere esattamente quando o dove, ma sappiamo che accadrà. E così quel tempo è davvero utile per la formazione, l’acquisto di attrezzature e la preparazione per l’alluvione. La seconda fase è quella che si sta verificando ora: la pioggia cade e il livello dell’acqua sta aumentando. Questo è il periodo in cui c’è un alto rischio, è il periodo in cui i pericoli aumentano con l’aumento del livello dell’acqua e quindi è qui che si interviene con i soccorsi tecnici nei paesi che hanno questa capacità. La terza fase è quella in cui essenzialmente la pioggia e l’acqua diminuiscono e l’alluvione inizia a diffondersi: siamo nella fase di espansione, quando le infrastrutture vengono colpite e i livelli delle inondazioni iniziano a diminuire. In questo periodo altri pericoli iniziano ad emergere in questa fase di espansione.
Al momento non stiamo assistendo a molti salvataggi, ma ad alcune evacuazioni di salvataggio in cui le persone hanno vissuto al piano superiore nella loro casa per alcuni giorni ed ora vogliono uscirne. La quarta fase dell’alluvione è il recupero e la ricostruzione: in questa fase le persone tornano nelle loro comunità e si riprendono le loro case per far funzionare le loro attività. Il nostro lavoro in Bangladesh come MOAS si concentra molto sulla prima fase dell’alluvione.
Il Bangladesh è un paese enorme, o meglio, è un paese piccolo con una popolazione enorme. E noi non possiamo essere ovunque ad aiutare tutte le persone. E così il nostro modello è quello di insegnare ai volontari specializzati all’interno della comunità a gestire il rischio di inondazioni e a garantire la sicurezza delle loro comunità. Noi lavoriamo con un’organizzazione chiamata CPP (Cyclone Preparedness Programme), il programma di preparazione ai cicloni: il CPP è stato istituito da oltre 30 anni, credo, come un braccio del governo e i suoi volontari sono presenti in ogni villaggio del paese ed hanno la responsabilità di allertare la comunità durante un ciclone.
Ciò che fa il nostro programma è migliorare il loro set di abilità, fornire loro attrezzatura e molto addestramento, in modo che non solo siano utili durante un ciclone, ma possano anche fornire supporto e copertura di sicurezza per la loro comunità in caso di inondazioni e monsoni. Questo è il nostro lavoro al momento. Io sono stato coinvolto in questo programma dal primo giorno in cui ho iniziato a lavorare a MOAS nel 2019, e questa è una parte fondamentale dei nostri programmi qui in Bangladesh. Stiamo costruendo la capacità della comunità di rifugiati e della comunità locale in modo che quando l’alluvione si verifica siano in grado di badare a loro stessi in modo più resiliente come comunità.
Ovviamente, per farlo, abbiamo un team di istruttori che lavorano con noi a MOAS: sono tutti locali. Grazie al training che hanno ricevuto da me e dal mio collega Paul, hanno un livello di abilità piuttosto alto. Siamo in grado di fornire attrezzature e competenze aggiuntive per fornire supporto specifico alle agenzie delle Nazioni Unite come parte del loro programma di risposta alle inondazioni: questo significa valutare il livello di rischio delle vie di accesso, fare in modo che sia sicuro perché un veicolo che potrebbe fornire copertura di sicurezza passi laggiù, mentre sono in corso alcuni lavori essenziali di costruzione o ingegneria per prevenire ulteriori inondazioni. C’è una gamma di abilità e tattiche che possiamo offrire che è piuttosto unica nel paese, in realtà. Ecco dove ci troviamo oggi. Il settore umanitario è già bravo nella terza fase, la fase di espansione e la fase di recupero delle inondazioni: ci sono organizzazioni fenomenali in grado di gestire la distribuzione di cibo e la ricostruzione di rifugi e cose del genere. Noi non siamo molto coinvolti in quelle aree. Ma certamente, il nostro messaggio molto forte in questo Paese è che la fase di preparazione, quella fase uno, di pre-alluvione, è il momento in cui bisogna lavorare sodo perché quando arriva l’alluvione in realtà non si ha molto tempo per addestrare o equipaggiare le persone: devono essere già pronte quando l’alluvione si verifica.

MOAS: Grazie Dan per questa risposta davvero molto dettagliata. Ho un’altra domanda per te: qual è il ruolo che svolgono le donne nelle risposte alle emergenze e nel nostro programma di addestramento?

Dan Graham: Le inondazioni sono un disastro che colpisce chiunque viva all’interno dell’area allagata, siano essi figli adulti, disabili, uomini, donne, ricchi o poveri, tutti ne sono colpiti allo stesso modo e la loro capacità di riprendersi da quell’impatto potrebbe essere molto diversa: i ricchi possono permettersi di comprare cose nuove che forse i poveri non possono. Personalmente trovo interessante la distinzione tra uomini e donne. La mia prospettiva è che se sei colpito da un’alluvione, sei in pericolo. E se sei un adulto abile, indipendentemente che tu sia maschio o femmina, tu aiuti le persone intorno a te, aiuti la tua famiglia, aiuti i tuoi figli; questo, ovviamente, proviene dalla mia educazione nel Regno Unito. Riconoscendo che la comunità Rohingya è una società altamente patriarcale e segregata in cui le donne sono spesso escluse dal processo decisionale e non vengono coinvolte in nient’altro che nei doveri domestici, c’è una grande spinta da parte delle ONG e della struttura delle Nazioni Unite qui locata per coinvolgere più donne nei vari tipi di programmi offerti. E come parte di ciò, il CPP con cui lavoriamo ha compiuto uno sforzo negli ultimi anni per aumentare la diversità dei loro gruppi e aumentare il numero di donne che fanno parte di quei gruppi. Dato che noi non reclutiamo direttamente per la formazione, ma formiamo gruppi consolidati con le diversità che ne derivano, è davvero difficile per noi promuovere direttamente o includere più donne di quelle già presenti in questi gruppi. Tuttavia, la formazione che forniamo è erogata in egual modo sia agli uomini che alle donne, nessuno è obbligato a partecipare alla formazione pratica, tutti sono invitati e supportati. Alcune persone non sono a loro agio nell’acqua e quindi scelgono di non partecipare: va bene, noi lo registriamo e lo annotiamo, e alla fine ottengono un certificato diverso. Quello che vediamo abbastanza spesso durante l’allenamento è che ci vuole solo una donna per fare un passo avanti e dire sì, ci provo. E poi, all’improvviso, ce ne sono sei, ce ne sono otto, ce ne sono dieci: c’è quasi una riluttanza o un po’ di timidezza, ma una volta che una donna si lancia, anche altre donne ci provano. In realtà, sai, i nostri istruttori hanno creato un buon rapporto e hanno trovato un modo per costruire la fiducia nel gruppo: all’inizio forse sono un po’ nervosi, basta solo incoraggiarli a entrare in acqua e fare un passo alla volta con delicatezza. Ci siamo guadagnati la loro fiducia durante il corso di formazione e abbiamo visto alcuni risultati davvero, davvero positivi. Quindi siamo molto orgogliosi delle donne a cui insegniamo e, certamente, in qualità di maschio bianco privilegiato non posso sperare di capire i tipi di pressioni sociali e familiari a cui potrebbero essere sottoposte le donne rifugiate Rohingya, ma quelle che vediamo fare volontariato nel programma CPP e che passando attraverso il nostro corso di formazione, fanno un lavoro fantastico, e sono certo che daranno il massimo quando arriverà la chiamata per rispondere alle inondazioni.

MOAS: Queste erano tutte le mie domande. Grazie ancora per avermi dedicato del tempo. È stato fantastico e ho imparato molto, spero davvero che gli ascoltatori abbiano appreso qualcosa di nuovo sui nostri fantastici progetti in Bangladesh. Per ulteriori informazioni e aggiornamenti sul nostro operato in Bangladesh vi consigliamo di controllare il sito Web e i social media di MOAS.

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