Gli interrogativi relativi alle situazioni di sfollamento prolungato

Secondo la definizione dell’UNHCR, la situazione dei rifugiati di lungo periodo (PRS) è uno “stato di limbo duraturo e irrisolvibile” in cui i rifugiati rimangono in esilio per “5 anni o più dopo il loro iniziale sfollamento, senza prospettive immediate di attuazione di soluzioni durevoli” (UNHCR 2009).

Tra le situazioni di sfollamento prolungato vi sono: il conflitto somalo che ha causato, negli ultimi 30 anni, un numero di sfollati pari a circa 1/4 dell’intera popolazione; il milione di rifugiati Rohingya che sono fuggiti dal Myanmar e la crisi dei rifugiati palestinesi che si protrae da oltre 60 anni.

Per queste comunità il rimpatrio e il reinserimento sono stati resi impegnativi dal lungo tempo trascorso al di fuori del loro paese d’origine più di quanto non sarebbe avvenuto nel breve termine. Secondo l’UNHCR, circa due terzi dei 25,9 milioni di rifugiati registrati in tutto il mondo si trovano in situazioni di sfollamento prolungato che durano in media da 20 anni. Lo sfollamento prolungato è quindi in aumento e le soluzioni a queste crisi sono più urgenti che mai.

Quando le crisi dei rifugiati si prolungano e da emergenze umanitarie diventano situazioni protratte sorgono ulteriori ostacoli a scapito dei diritti umani fondamentali di queste comunità. La maggior parte dei rifugiati, circa l’80%, si trovano nel sud del mondo, dove i paesi ospitanti devono fare i conti con le questioni interne relative alla povertà e alla disoccupazione, rendendo l’esperienza dello sfollamento prolungato ancora più problematica.

Vivere per un lungo periodo di tempo in condizioni di povertà all’interno di un campo profughi comporta una serie di sfide per i rifugiati, tra cui la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria locale, al mercato del lavoro e all’istruzione. In Bangladesh, l’impossibilità per i Rohingya di accedere al sistema scolastico locale sta gradualmente creando una generazione di giovani Rohingya che non hanno alcuna istruzione di base o formazione professionale. Analogamente, la mancanza di accesso al mercato del lavoro per i rifugiati adulti si traduce, nel tempo, in uno spreco di competenze e di mezzi di sostentamento che deve essere affrontato con il sostegno della comunità internazionale e non deve ricadere esclusivamente sul Paese ospitante.

Questa mancanza di opportunità educative e occupazionali ha costretto molte comunità sfollate a fare affidamento sull’assistenza esterna impedendo l’autosufficienza dei rifugiati. Ciò è particolarmente problematico per i rifugiati sfollati da decenni per i quali l’attenzione internazionale spesso vacilla, lasciando le comunità con un’assistenza esterna ridotta e rendendo la situazione ancora più impegnativa da affrontare.

La vulnerabilità dei rifugiati è incrementata nelle situazioni prolungate a causa della mancanza di protezione a lungo termine. Ciò è spesso visibile nell’aumento dei casi di violenza fisica e sessuale, sfruttamento e tratta di esseri umani che troppo spesso sono tragicamente invisibili o gravemente sottostimati a causa della mancanza di documentazione o della cittadinanza.

La mancanza di libertà di movimento, che costringe i rifugiati a restare all’interno di un campo profughi per un lungo periodo di tempo, blocca lo sviluppo professionale, educativo, personale e creativo dei singoli. Sebbene la noia possa condurre alcuni a sviluppare innovazioni creative per sopravvivere alla vita da sfollati, nella maggior parte dei casi il logorio della vita quotidiana non è altro che uno spreco tragico e frustrante che separa i rifugiati dalla comunità ospitante rendendo impossibile l’integrazione locale.

Secondo l’UNHCR, maggiori sforzi per l’integrazione andrebbero di fatto a beneficio sia del Paese ospitante che della comunità sfollata, contro la natura statica dello sfollamento prolungato inteso come fonte di problemi, risorse sprecate e aumento delle minacce alla sicurezza. Una maggiore solidarietà e volontà politica da parte della Comunità internazionale potrebbe garantire maggiori soluzioni per risolvere sia la situazione interna del paese di origine che quella della comunità ospitante assicurando un’integrazione più efficace.

Inoltre, le situazioni dei rifugiati di lungo periodo includono anche la questione dei rifugiati di seconda o terza generazione. Nel 2018, sono nati in media 60 bambini Rohingya al giorno nei campi profughi del Bangladesh, bambini senza alcuna cittadinanza. Nati con poche opportunità, il loro sviluppo e il loro futuro sarà limitato a causa dello status acquisito alla nascita.

Che cosa si può fare allora per affrontare le questioni che sorgono in situazioni di sfollamento prolungato?

Probabilmente il rischio maggiore è che le situazioni dei rifugiati di lungo periodo vengano considerate situazioni umanitarie emergenziali, non soddisfacendo i criteri specifici dei programmi per lo sviluppo, tra le crepe della comunità internazionale. È quindi fondamentale che l’attenzione dei media continui a portare alla luce queste situazioni, a condividere le esperienze di coloro che vivono da rifugiati per decenni e a chiedere soluzioni sostenibili e a lungo termine . L’attenzione internazionale, insieme alla creazione di opportunità di lavoro e di istruzione per queste comunità, sono soluzioni a lungo termine di fondamentale importanza.

Questo mese, mentre ci concentriamo sulle situazioni di sfollamento prolungato in tutto il mondo, continuiamo a mostrare la nostra #solidarietà nei confronti di coloro i quali si trovano da anni, o addirittura decenni, in una condizione di sfollamento forzato, in attesa di soluzioni.

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